Lo Stato – ha scritto Carl Schmitt – è la figura più fulgida dello jus publicum europaeum. Ma proprio Schmitt ha dubitato che esso potesse avere un futuro nel XXI secolo. E molti altri si sono aggiunti a coloro che, già a partire dai primi del Novecento, parlavano di “crisi”, se non di “morte” dello Stato. Una Rivista che s’intitola esplicitamente – e per certi aspetti provocatoriamente – “Lo Stato” potrebbe sembrare quindi poco trendy nell’età della globalizzazione, della lex mercatoria e delle unioni giuridiche sovrastatuali che vorrebbero essere addirittura “ordinamenti giuridici” privi di statualità. Ovviamente, i direttori di essa sanno bene che lo Stato contemporaneo si trova dinanzi a sfide inedite, che deve assumere funzioni e cómpiti nuovi e abbandonare talora le impronte del vecchio modello; e tuttavia la crisi dello Stato appare loro una caratteristica intrinseca fin dall’inizio, nel senso che se lo Stato non fosse perpetuamente in crisi esso non sarebbe in grado di rispondere alle sollecitazioni della società civile, per l’appunto, trasformandosi. |