La decolonizzazione ha perso la sua strada. Originariamente una lotta per sfuggire al controllo politico ed economico diretto dell'Occidente, è diventata un'idea onnicomprensiva, spesso finalizzata a mettere in pratica la "moralità" o l'"autenticità"; soffoca il pensiero africano e nega l'agire africano.
Olúfẹ́mi Táíwò rifiuta fermamente l'applicazione indiscriminata del termine "decolonizzazione" a tutto, dalla letteratura, alla lingua e alla filosofia, fino alla sociologia, alla psicologia e alla medicina. Sostiene che l'industria della decolonizzazione, ossessionata dalla catalogazione dei torti, stia seriamente danneggiando la ricerca in Africa e in Africa. Trova la "decolonizzazione" della cultura intellettualmente infondata e del tutto irrealistica, poiché confonde modernità e colonialismo e sostiene infondatamente un disfacimento incondizionato delle fondamenta della società globale. Peggio ancora, il movimento odierno attacca la propria stessa causa: gli stessi "decolonizzatori" ignorano, infantilizzano e impongono valori ai pensatori africani contemporanei.
Questo intervento potente e tanto necessario mette in discussione se l'attuale "decolonizzazione" serva davvero all'emancipazione africana. Quella di Táíwò è una sfida coraggiosa a rispettare gli intellettuali |