Che cosa vuol dire, dal punto di vista filosofico, essere evoluzionisti? Dove conduce, sotto il profilo speculativo, l'accettazione del principio darwiniano, secondo il quale "la differenza mentale tra l'uomo e gli animali superiori, per quanto grande, è certamente di grado e non di genere"? Fino a che punto l'adesione al principio evoluzionistico obbliga a ripensare in modo nuovo vecchi concetti sui quali si discute da secoli? Se si crede nel principio evoluzionistico e si scarta ogni ipotesi di creazione, non ha più senso ragionare sulle vicende umane come se l'uomo fosse sempre esistito e avesse avuto fin dall'inizio le facoltà di cui oggi dispone. Queste doti, se l'uomo in principio non le aveva e le ha acquisite nel tempo, per via naturale, quale valenza hanno? E in che rapporto si trovano con la natura dalla quale si sono originate? È chiaro che una parte di questa ricerca possono farla soltanto gli scienziati, gli unici in grado di esplorare i meccanismi del cervello umano, ma molte domande che l'uomo si pone vanno oltre i confini della scienza: di queste ci si occupa qui, valendosi, quando è possibile, dei risultati dell'indagine scientifica. |